Lo scorso agosto, durante il discorso di chiusura della convention repubblicana, Donald Trump invocava il “law and order” per placare le violenze tra le strade d’America seguite all’uccisione di George Floyd. Violenza e dis(order) hanno invece fatto da padroni nella surreale, grottesca e quasi comica (se non fosse per le vittime) serata del 6 gennaio a Washington DC, dove alcuni manifestati hanno fatto irruzione al Congresso durante la cerimonia per la certificazione del presidente eletto, Joe Biden. 4 morti, 52 persone arrestate è il bilancio, ancora provvisorio, degli ultimi giorni della presidenza Trump: un colpo di coda (e di testa) che potrebbe costare al Presidente uscente la destituzione per incapacità di “adempiere ai poteri e ai doveri della carica”. Una possibilità che, a dire il vero, si è fatta più remota dopo le dichiarazioni di accettazione della vittoria di Biden e la condanna delle violenze di Capitol Hill.
Nei convulsi momenti seguiti all’assalto, Joe Biden aveva definito l’irruzione del Campidoglio “un assalto allo stato di diritto come poche volte l’abbiamo mai visto”, invitando il Presidente Trump ad “andare ora alla televisione nazionale per adempiere al suo giuramento e difendere la costituzione e chiedere la fine di questo assedio”. Nel frattempo, The Donald ribadiva che le elezioni “sono state rubate”, ma “dovete andare a casa adesso, dobbiamo avere la pace, dobbiamo rispettare legge e ordine”. Ed è di nuovo il “law and order” il tema protagonista dell’ultimo video apparso sull’account facebook della Casa Bianca, con cui The Donald prende con più decisione le distanze dai manifestanti “coinvolti in atti di violenza e distruzione” e colpevoli di aver infranto la legge.
Proprio la legge e l’ordine sono, d’altra parte, i due ambiti su cui l’America post Trump dovrà interrogarsi. La legge, intesa come rispetto dell’invocato stato di diritto, dei confini alle libertà individuali per il bene comune: un concetto mai sviscerato del tutto e massimizzato dal liberismo esasperato degli ultimi cinque anni. C’è addirittura chi legge nella protesta a Capitol Hill niente più che un’espressione, pur se estrema, di quelle libertà individuali, del diritto alla protesta che legittimerebbe finanche un assalto alla casa della democrazia; un luogo che gli americani considerano “la propria casa”. Resta da comprendere quali conseguenze ci saranno ora sia per gli assalitori sia per Donald Trump e quali reati potranno essere ad essi ascritti.
Sul fronte “order”, l’interrogativo è ancora più impellente. Dall’esiguo numero di agenti dispiegati per una protesta annunciata da giorni al ritardo nell’intervento della guardia nazionale, numerosi sono gli errori e le leggerezze compiute dagli organi di sicurezza del Paese. Tutto il mondo ha potuto vedere le immagini di un uomo con corna e coda attraversare il Campidoglio: uno smacco per la più grande democrazia del mondo che si trova a dover fare i conti con un grave problema di sicurezza interna non più riconducibile a una mera questione di tensioni sociali.
Un lavoro immane attende ora Joe Biden, cui non basterà l’endorsement “twittarolo” dei leader internazionali per recuperare la reputazione e la credibilità perdute e colmare le falle aperte nell’apparato di sicurezza. Servirà, allora, recuperare un po’ di “law” and “order”, lo slogan repubblicano che dovrà necessariamente guidare le scelte della prossima amministrazione democratica.