Il tempo dei bilanci di fine anno si è già consumato e credo che nessuno, anche solo lontanamente e con tutti gli scongiuri del caso, voglia rievocare il 2020. Ma non tutto è stato da dimenticare.
In effetti, molto è cambiato dallo scorso febbraio: la nostra libertà, la quotidianità, il lavoro, la salute, la paura, il dolore, le strade, le città, gli spostamenti. Tutto quello che poteva sembrarci scontato, raggiungibile, nostro, ci è stato portato via da una pandemia che ancora ci tiene ancorati ai bollettini serali dei TG, con l'augurio che l’Rt dell’una o dell’altra regione, cambi e faccia intravvedere un minimo di speranza.
Nella curva gaussiana della teoria della probabilità tra variabili casuali e valori reali, ci siamo tutti un po' persi. E tra le parole prima sconosciute e oggi di uso comune, abbiamo dato vita ad un’altra realtà. Una realtà virtuale, precaria che ha messo a dura prova i nostri interscambi, i confronti, la socialità così come la possibilità di mantenere, per quanto possibile, un minimo di sanità mentale.
Del 2020, nostro malgrado, ricorderemo parole e persone (e non sempre con un’accezione positiva), in particolare: pandemia, covid, distanziamento, mascherine, Rt, le continue gaffe di Gallera, gli inadeguati Conte e Speranza. Ricorderemo anche Renzi, Mattarella (per motivi opposti alla sovraesposizione dei nostri politici), l’ennesima crisi di governo, così come l’ennesimo rimpasto, i bisticci della politica, la tavolozza di colori che in queste ultime settimane tanto ci ha esasperati da portarci alla discromatopsia (daltonismo), la crisi dell’economia, del commercio, la disperazione dei liberi professionisti, la chiusura delle scuole – poi l’apertura- poi la chiusura di nuovo, la DAD.
Ricorderemo il dolore, che in alcuni casi è diventato una costante. Quella morsa al petto con la quale abbiamo dovuto imparare, quasi tutti, a sopravvivere. Le lacrime versate guardando le immagini televisive. La disperazione dei familiari, degli amici. Il timore che qualcuno dei nostri cari potesse passare gli ultimi suoi momenti di vita solo, senza alcun tipo di conforto. Senza nessuna carezza o abbraccio ad accompagnarlo. La paura della morte, della sofferenza, della solitudine.
Le cose non fatte, non dette.
Forse, avremo la forza anche di ricordare quello che di positivo c’è stato (no, non sono pazza): la solidarietà, l’umanità ritrovata, la comunità. Ricorderemo i medici, gli infermieri e i tanti volontari che sono stati (e lo saranno ancora) fondamentali in questi momenti.
Ricorderemo anche il bisogno di ritrovarsi e scoprire il piacere della collettività, delle cose semplici.
Chiudo ricordando una frase di LUIS SEPÚLVEDA, noto scrittore mancato nel 2020 per covid e che disse “Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro ancora si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia.”