C'era anche Francesco Starace, ad e direttore generale di Enel, nell'aprile del 2016 quando l'allora premier Matteo Renzi presentò il piano per portare la banda ultra larga in tutta Italia. Oggi è lo stesso Starace, pronto a vendere la quota di Oper Fiber al fondo Macquaire, a mettere la fine al sogno di Renzi. La rete unica ci sarà, ma non sarà dello Stato. A fare la voce grossa sarà Tim.
Il progetto Open Fiber (società oggi detenuta al 50% da Enel e al 50% da Cdp equity spa) ambiva a portare la fibra direttamente in casa (FTTH): 224 città sarebbero state connesse in tre anni, mentre il Piano Nazionale per la banda ultralarga avrebbe raggiunto il 100% di copertura entro il 2020 con 30 Mbit di connessione e 50% di abbonamenti attivi a 100 Mbps. Non è andata così e oggi, per stessa ammissione di Open Fiber, il progetto è in ritardo di almeno tre anni. A settembre, rispondendo a una interrogazione della Lega in Commissione Trasporti, Poste e Tlc della Camera, il ministro allo Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, aveva dato numeri impietosi: "Ad oggi i dati puntuali dei comuni collaudati sono disponibili sul portale Infratel: sono 653 comuni con lavori avviati nel 2020 - ha spiegato Patuanelli - 430 completati, erano 22 a fine 2019, 372 comuni collaudati in campo a settembre 2020, 514 collaudabili a settembre 2020, 739 comuni aperti in deroga alla commercializzazione con sperimentazioni e 492.142 unità immobiliari vendibili in Ftth e 360.306 in Fwa". Un po' poco rispetto agli oltre 6200 Comuni in aree bianche previste dai bandi di Infratel.
L'OFFERTA DI MACQUAIRE
L'offerta pervenuta da Macquarie per acquisire parte della quota di Enel in Open Fiber prevede "il riconoscimento di due diversi 'earn-out' (clausole di integrazione del prezzo, ndr.) in favore di Enel, legati ad eventi futuri ed incerti". Lo si legge nella nota di Enel. "Un 'earn-out' e' legato alla positiva conclusione, con sentenza definitiva, del contenzioso instaurato da Open Fiber nei confronti di Tim per condotta anticoncorrenziale posta in essere da quest'ultima. In particolare, tale "earn-out" - si legge nella nota - assicura il riconoscimento in favore di Enel del 75% del risarcimento netto che dovesse essere conseguentemente incassato da Open Fiber e si prevede che sia riconosciuto ad Enel in funzione dei dividendi distribuiti da Open Fiber ai propri soci a qualsiasi titolo. L' 'earn-out' sara' calcolato in proporzione alla effettiva quota ceduta da Enel a MIRA". L'altro "earn out" e' invece "legato alla creazione di valore derivante dall'eventuale realizzazione della cosiddetta 'rete unica' a banda larga tra Open Fiber e Tim. Esso e' basato sul criterio del rendimento per l'investitore e prevede che, nel caso in cui si verifichi un'operazione di trasferimento della artecipazione in Open Fiber detenuta da MIRA che determini un tasso di rendimento dell'investimento (IRR) superiore al 12,5%, venga riconosciuta ad Enel una quota pari al 20% del valore realizzato da MIRA eccedente tale soglia, fino ad un importo massimo pari a 500 milioni di euroin caso di cessione del 50% del capitale di Open Fiber e di 400 milioni di euro in caso di cessione del 40%".
ALTRA CRISI NELLA MAGGIORANZA
Il progetto della rete unica delle telecomunicazioni è uno dei più importanti per il futuro del paese: basti pensare che dei fondi in arrivo da Recovery Fund almeno 50 miliardi (inizialmente si parlava di 120) saranno destinati al cluster “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo”. L'operazione di Enel ha creato l'ennesima spaccatura in maggioranza. “Il Governo esca dall’incantesimo di Grillo e chieda a Enel di bloccare la vendita di Open Fiber. Assurdo far uscire dalla rete unica l’azienda statale che ha messo in piedi il progetto di rete pubblica di maggior successo in Europa. Stop favori a privati e fondi internazionali”, ha scritto su twitter il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi.